Oggi ospitiamo il diario di viaggio di Orazia Profetto che ha voluto condividere con i nostri lettori la sua esperienza di viaggio nel sud della Tunisia. Noi non possiamo che accoglierlo con enorme piacere. Buona lettura a tutti.
Tunisia: piccolo paese dal cuore grande. Lo definisco così perché il popolo tunisino è molto generoso, socievole e altruista; si è vero molto spesso lo fa perché vuole venderti qualcosa, ma non dimentichiamo che l’ospitalità per loro è sacra! Andiamo in vacanza in Tunisia da circa 12 anni e l’abbiamo girata un po’ tutta, da nord a sud. Ed è proprio del Sud che voglio parlarvi ora.. E’ stata un’esperienza unica e indimenticabile.
Il tour del sud della Tunisia, organizzato da una locale agenzia prevedeva una visita di 3 giorni , a bordo di fuoristrada Toyota Land Cruiser, con aria condizionata e tendine, autista e guida parlanti italiano, 2 pernotti in albergo (premetto che il tour è stato fatto a fine agosto del 2006, e quindi in pieno regime Ben Ali).
Era la seconda volta che visitavamo il paese, ma l’idea di andare nel deserto un po’ ci spaventava e allora abbiano scelto il tour da 3 giorni con pernotto in albergo (4/5 stelle). Se vi chiedete se ce ne siamo pentiti, bè, la risposta è si. Avremmo potuto scegliere il tour da 7 giorni! Comunque sia, ormai è andata.
Il primo giorno: da Hammamet a Douz
Siamo partiti da Hammamet (vecchia) alle 5 del mattino a bordo di 2 fuoristrada , accompagnati da autista e guida turistica, entrambi parlanti italiano (oltre all’inglese, francese , tedesco e naturalmente arabo). La comitiva era piccola ma molto assortita: 2 italiani, 2 inglesi, 4 tedeschi non vi dico le peripezie per parlarci l’un l’atro, a volte l’autista mediava tra noi che parlavamo francese e gli altri del gruppo che parlavano inglese o tedesco.
Poco prima di arrivare a Sousse, lasciamo la strada costiera per addentrarci in una strada interna che ci porterà a sud. La carovana si ferma svariate volte, per una visita veloce ai bar, per un caffè, per comprare dei souvenir, e per visitare luoghi di interesse culturale e artistico. Prima tappa El Jem, località dell’entroterra all’altezza di Madhia, per visitare il maestoso Anfiteatro Romano. Copia esatta, ma un po’ più piccolo del nostrano , e testimonianza della presenza dell’impero romano in terra d’Africa: la presenza di un Colosseo di così fatte dimensioni, sembra possa ospitare 36.000 persone, in mezzo al nulla è un mistero! Oggi , comunque, ospita un importante festival musicale. Dopo le foto di rito, lì vicino, andiamo a visitare un negozio di oggetti di antiquariato: per una come me che già in Italia va alla ricerca di mercatini delle pulci e oggetti d’antiquariato, è stata una vera tortura non poter comprare nulla.
Ripartiamo alla volta di Matmata, dove sostiamo per il pranzo al Diar el Barber , fantastico hotel dai colori ocra , perfettamente integrato nell’ambiente, con una piccola piscina esterna con vista sul deserto. Subito dopo pranzo visita alle abitazioni troglodite, tipiche abitazioni scavate nella roccia per difendersi dal caldo, dove una signora vestita con abiti tradizionali, ci mostra alcune scene tipiche della vita quotidiana degli abitanti del deserto. Arriviamo in serata a Douz, la porta del deserto. Per strada incontriamo numerosi posti di blocco della polizia (la guardia nazionale fedele al regime) che, con divisa color cachi e stivali, controllano il regolare svolgimento del traffico. Quando ci avviciniamo con la nostra auto gli autisti abbassano lo sguardo, percepiamo una sorta di soggezione, di paura, nei loro confronti; e uno sguardo va verso il paraurti anteriore dell’auto dove sorge, in bella vista, un grosso bollino azzurro, una sorta di lascia passare turistico. Ci dicono che senza quello li avrebbero fermati sicuramente e altrettanto sicuramente avrebbero trovato qualcosa da ridire. Allora mi vien voglia di alzare lo sguardo in segno di sfida e guardarli negli occhi , come a dire: guardateci! Siamo turisti occidentali e siamo in compagnia di Tunisini, stiamo bene e ci stiamo divertendo, lsciateli in pace!
Arrivati a Douz, pernottiamo all’Hotel El Mouradi , 4*: ci colpiscono i marmi e le colonne di cui è interamente fatta la hall, i tappeti persiani sparsi qua e la, e subito fuori , una enorme piscina circondata da palme. Ma lo spettacolo più suggestivo ce l’abbiamo appena arriviamo in camera: non balconi come in tutti gli altri hotel, ma finestre a forma di nido d’ape, con una rete di protezione, attraverso la quale vediamo uno scenario davvero unico: è proprio da lì che inizia (o finisce) il mitico deserto del Sahara! Vediamo le dune poco oltre la recinzione dell’albergo e una carovana di turisti che, con addosso gli abiti tipici beduini, fanno la cammellata: devo essere sincera, mi sono commossa un po’.
Secondo giorno: dall’oasi di Zafrane e la vista del deserto a Jerid, la terra dei datteri
L’indomani mattina sveglia all’alba (di nuovo) per recarci all’oasi di Zafrane per fare anche noi la nostra cammellata nel deserto. Vediamo sorgere il sole da sopra i dromedari mentre ci spingiamo all’interno del deserto, verso un villaggio abbandonato. Qui lo spettacolo che si apre a noi è unico: enormi distese di sabbia dorataocchio, qualche palma, i resti delle case senza tetto . Ognuno di noi reagisce con emozioni diverse: i bambini iniziano a rotolare giù per le dune, qualcuno passeggia, tutti scattiamo le foto cercando di immortalare le emozioni che proviamo in quel momento.
Io mi siedo sulla sabbia, la tocco, è sottile come borotalco, si attacca ed è difficile da levare via, è più lavorata rispetto a quella della spiaggia. Qui il vento la colpisce di continuo e ogni volta da un volto diverso alla forma delle dune. Il deserto è una novità! Distese infinite di sabbia bionda, un silenzio assordante, non puoi non guardarti dentro, scavare dentro te stessa; il tuo animo, i tuoi pensieri sembra che si mettano a nudo… ho quasi paura di quello che questa distesa di sabbia infinita possa suscitare.
Vorrei non andare via, qualcosa mi trattiene lì, guardarmi dentro mi fa paura, ma al tempo stesso mi fa stare bene, mi sento sollevata. Indossiamo il tagelmust, il turbante color indaco tipico dei beduini e facciamo le foto. Presto ci rendiamo conto che non è solo una usanza ma è soprattutto una esigenza: serve a proteggere la testa dal caldo torrido del deserto e, quando si solleva il vento, e la sottilissima sabbia si insinua ovunque, è l’unica cosa con cui ti puoi riparare.
Ripartiamo e un altro spettacolo ci attende: la prossima tappa è la città di Tozeur, e per arrivarci attraversiamo lo Chott el Jerid, una profonda depressione dove l’acqua ,evaporando per il forte calore, lascia depositato il sale sul terreno. La depressione è attraversata dalla “pipeline”, una lunga e dritta striscia d’asfalto che collega le due città: ai lati distese di sale con il quale qualcuno ha realizzato sculture di diverse forme.
La strada che costeggia l’ingresso nella città è costellata dai rifornimenti di carburante fai da te: bidoni di plastica pieni di benzina (di contrabbando, ci dicono, proveniente dalla vicina Algeria) disposti sopra un rialzo. Si vedono anche i ristoranti che offrono grigliate di carne all’aperto; ma all’aperto non c’è solo la griglia, in quanto è facile vedere anche mezzene di animali appesi fuori alla bell’è meglio.
Arriviamo a Tozeur e ci accoglie un’oasi verdeggiante di palme: ci dicono che è l’oasi più grande di tutto il paese, con circa 400.000 palme da datteri. Da lontano sembra un enorme tappeto verde e noi lo attraversiamo in calesse: l’oasi è abitata da circa 3.000 persone che ci vivono e ci lavorano. La Tunisia è il primo produttore di datteri e qui sono raccolti, manualmente, proprio in questa regione, lo Jerid appunto.
Questo, più di ogni altra, è una regione povera del paese, poiché la raccolta dei datteri avviene solo per due mesi all’anno e, in ogni caso, non è un’attività redditizia. I frutti raccolti sono portati a nord, dove le fabbriche impacchettano i datteri e li esportano in tutto il mondo. I restanti mesi dell’anno passano lenti, in una languida attesa. Qui, più che al nord, si percepisce la vera difficoltà economica della gente, gente che è più legata alle tradizioni, rispetto a un nord del Paese più moderno, più occidentalizzato, più aperto.
Arriviamo al nostro albergo, anche questo molto lussuoso: è il Dar Cherit, come l’omonimo museo di costumi tradizionali tunisini che andiamo a visitare la sera. Ora, dopo pranzo ci concediamo un piccolo lusso: stanchi e accaldati c’è chi va alla spa e si regala un hammam, e chi preferisce fare un tuffo in piscina. In mezzo al deserto è davvero un lusso permettersi un bagno in piscina : l’acqua qui è un bene prezioso! La piscina è piccola ma decorata con le maioliche tipiche e bordata in pietra. Mi accorgo che sono sola, in tutto nell’hotel ci sono solo nove ospiti e, mentre nel silenzio che qui regna sovrano mi tuffo nell’acqua fresca per asciugarmi all’ombra di un albero nel giro di qualche minuto, un cameriere decide di intrattenermi con la musica. Lo ringrazio per la carineria, ma avrei davvero preferito il silenzio: un’atmosfera così dà davvero un senso di unicità al momento.
Nel pomeriggio appuntamento nella hall con il resto del gruppo e con gli autisti perché si parte per un’escursione in fuoristrada nel deserto! Siamo emozionatissimi, ci divertiamo come non mai: per circa due ore siamo in balia dei nostri autisti che ci portano fuori pista facendoci fare salti su e giù per le dune, gare di velocità, rincorse; alla fine uno dei due fuoristrada si insabbia e peniamo un po’ per tirarlo fuori. Non mi sono mai divertita così tanto! Alla fine ci fermiamo e ci stendiamo sulle dune di sabbia per riprendere fiato: ci togliamo le scarpe, vogliamo stare a contatto con questa sabbia così soffice e fine.
In lontananza vediamo delle tende berbere dei beduini, i nomadi che abitano il deserto, e qualche cammello solitario. Siamo qui in mezzo al nulla e vediamo spuntare ragazzini che ci vogliono vendere (a tutti i costi) qualcosa: collane, braccialetti, oppure ci chiedono qualcosa per loro; basta veramente poco! Ci chiedono soprattutto penne, matite colorate, oggetti per la scuola, che i loro genitori magari non possono comprargli ma a cui loro tengono molto: ci inteneriscono il cuore e ci fanno male. Si, fa male vedere bambini che si meravigliano per cose a cui noi occidentali non diamo peso o magari buttiamo: per noi tutto è scontato, anche andare a scuola, qui invece è una conquista, ogni giorno, ogni cosa strappata a questo stile di vita povero e pieno di privazione. Mi fa sentire un verme e mi riprometto che tornerò nel deserto, non in tour, ma per starci e porterò le cose per loro molto importanti..
E’ quasi l’imbrunire quando ritorniamo sulle jeep per andare a visitare due siti di cui i tunisini vanno molto fieri: uno è il set dove sono state girate alcune scene del primo episodio della saga di Guerre Stellari. Anche qui che emozione! Ricordo di aver visto il film da ragazzina e, adesso, trovarmi sul set mi ha fatto tornare indietro nel tempo. L’altro sito è Ong jemel, una collina dalla sabbia un po’ rossiccia che il vento ha modellato a forma di testa di cammello. Il sito è stato anche set cinematografico per il film Il paziente inglese.
Rientriamo in hotel e ci attende una cena al ristorante con piatti tipici tunisini. Tra le alte cose, ci viene servito un piattino con l’harissa, una salsa piccante a base di peperoncino con contorno di olive, nella quale intingere il pane: davvero piccantissima.
Terzo giorno: l’oasi di montagna al confine algerino e si ritorna ad Hammamet
Terzo giorno, sveglia sempre all’alba, si parte per la visita delle oasi di montagna: Chebika e Tamerza, a circa 6 km dal confine algerino. Qui troviamo un altro deserto, meno suggestivo: è il deserto roccioso. Siamo nei pressi di Redeyef, città mineraria del sud del Paese, da dove si estraggono i minerali. Sosta per il pranzo a Gafsa, tipica città sahariana con un traffico incredibile, strade intasate di macchine, motorini, bus e taxi: ne usciamo frastornati.
Riprendiamo la strada per il rientro ad Hammamet, attraversando un paesaggio che sembra quasi una steppa, con alberi radi e cespugli di spine. Il tour è finito, siamoesperienza unica, che non tutti conoscono o sono disposti a fare.
Io la rifarei eccome, magari stavolta starei qualche giorno in più a godere del silenzio, della bellezza e della bontà degli abitanti del sud.
non sono interessata a viaggi organizzati che fanno fare ridicole escursioni nel deserto vorrei leggere di un viaggio fai da te nel sud
Orazia Profetto,ho letto il suo breve diario che includeva un giro nel deserto tunisino e mi é piaciuto l’entusiasmo ad oltranza per tutto cio’ che incontrava..Consideri pero’ che la vita reale (quotidiana,non turistica) non é cosi’ idilliaca.
Si, assolutamente.
Ne abbiamo avuto un breve assaggio incontrando le persone, i raccoglitori di datteri e soprattutto i bambini, che vivono in questo mondo davvero così diverso.
Mi ha spezzato il cuore vederli chiedere penne , quaderni e zaini per la cuola, ma tante altre cose per noi (occidentali)davvero futili.
Però un viaggio nel deserto serve anche a capire quali sono le cose davvero importanti e essenziali nella nostra esistenza.
Grazie.